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PLEYRA, UN APPROCCIO NUOVO ALLA FARMACOLOGIA

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Un progetto di trasferimento tecnologico del Centro per la Biologia Integrata (CIBIO) dell’Università di Trento
Negli ultimi dieci anni il numero di farmaci nuovi è progressivamente diminuito. Pleyra è un’idea alternativa a come si cerca un farmaco nuovo di sintesi e a come si produce un farmaco biotecnologico.
di Alessandro Quattrone

Il Centro per la Biologia Integrata (CIBIO) dell’Università di Trento sta lavorando da più di un anno a un progetto di trasferimento tecnologico dal nome “Pleyra”. Il termine è la traslitterazione di una parola che in greco antico significa “a lato” e si riferisce direttamente al concetto fondante l’idea d’impresa. Pleyra riguarda i geni, in particolare il modo in cui le cellule controllano l’“espressione” dei geni, facendoli diventare “atto” da potenza scritta nel DNA. Si concentra
sul secondo stadio dell’espressione, quello finale, la produzione di proteine. Queste ultime vengono generate durante il processo di sintesi proteica, sulla base di uno stampo costituito da una molecola detta di RNA messaggero.

Le proteine, in biologia e in biotecnologia, sono gli attori fondamentali. Sono infatti gli oggetti cellulari ed extracellulari deputati ad assolvere pressoché tutte le funzioni della materia vivente, sono poi i bersagli cellulari dei farmaci convenzionali, le molecole di sintesi chimica; sono infine proteine anche i farmaci biologici, gli strumenti farmacologici alternativi alle molecole di sintesi sviluppati negli ultimi anni.

L’attuale farmacopea si compone di circa 900 di queste molecole, sempre dirette verso proteine, e di alcune decine di farmaci biologici, proteine prodotte in bioreattori da cellule ospiti, che funzionano come sostituenti o come inibitori di altre proteine. Questo armamentario, quello del quale dispone ogni medico che affronti una patologia con approccio farmacologico, è stato costruito nel corso del secolo passato; inizialmente in modo prevalentemente empirico, attraverso
l’isolamento di principi attivi a partire da osservazioni casuali, e in seguito tramite un processo di miglioramento su base strutturale e funzionale a partire dallo studio di come questi principi attivi interagiscono con gli “anfratti” per essi disponibili sulla superficie delle proteine bersaglio, influenzandone così la funzione.

Ma ormai da circa dieci anni, nonostante i sempre più cospicui investimenti e i numerosi nuovi potenziali bersagli proteici resi disponibili dalle tecniche di analisi genomica della cellula, il numero di farmaci nuovi che arrivano in clinica è progressivamente diminuito, al punto che ormai le grandi multinazionali farmaceutiche fondano i loro modelli di business sul cosiddetto repositioning, l’impiego di farmaci già in uso su diverse indicazioni terapeutiche. E tutto ciò nel quadro di una continua perdita dei diritti di proprietà intellettuale sui farmaci blockbuster, le molecole di successo introdotte negli anni ’80 e che passano fatalmente al mercato dei generici, tagliando i profitti delle aziende.

Il progetto Pleyra nasce dalla necessità di pensare in modo radicalmente diverso l’approccio al farmaco, vista anche la situazione critica attuale e la grande disponibilità delle multinazionali ad esternalizzare attività un tempo svolte completamente in casa. La rivoluzione che Pleyra cerca di introdurre è basata su un radicale cambiamento di prospettiva, che consiste nello smettere di guardare alle proteine come bersaglio dei farmaci e scendere al livello sottostante, collocandosi nello spazio fra queste e gli RNA messaggeri, gli stampi, come si è detto, sui quali vengono prodotte. Le osservazioni che fondano l’idea provengono da studi svolti presso il CIBIO, dai quali risulta come il processo di traduzione sia notevolmente controllabile nella sua efficienza tramite l’impiego sia di molecole di piccole dimensioni che di sequenze presenti nelle regioni poste “a lato” (ecco perché il nome) dei geni. In pratica si vuole sostituire all’inibizione o sovraattivazione
del convenzionale bersaglio proteico la modulazione, in senso negativo o positivo, della sua produzione, agendo più alla radice. Un primo effetto di questo cambiamento di prospettiva per lo screening di nuovi farmaci è che si annulla il cruciale problema della undruggability, per il quale la gran parte dei bersagli proteici finora identificati non si presta all’azione di molecole di sintesi, per caratteristiche di struttura incompatibili con interazioni produttive.

Infatti il bersaglio si sposta dalle proteine al controllo dell’apparato coinvolto nella loro sintesi e in particolare a quelle regioni deputate a questo controllo presenti a lato della porzione in cui è scritta la proteina nella molecola di RNA messaggero. Niente fa pensare che per queste regioni esista undraggability.

La stessa tecnologia che si fonda sullo studio di tali regioni collaterali può essere adattata a favorire la produzione di quelle proteine che fungono da farmaci biotecnologici. Ciò risulterebbe in un notevole incremento nelle rese e quindi in un importante abbassamento dei costi di produzione, attualmente molto alti e tali da condizionare il mercato di questi farmaci di nuova concezione.

Se vi è uno spazio per il trasferimento tecnologico che sia precipuo dell’università, questo è soprattutto nella messa alla prova di nuovi modi di pensare, che derivino direttamente dall’attingere di prima mano a saperi recentissimi e a idee radicalmente diverse dal tracciato nel quale si muove il convenzionale sviluppo industriale.
Pleyra è un’idea alternativa a come si cerca un farmaco nuovo di sintesi e a come si produce un farmaco biotecnologico. Richiede un tempo di sviluppo interno per verificarne le potenzialità e si offrirà con queste potenzialità a un mercato che adesso ha quanto mai bisogno di intraprendere nuove strade.

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Autore alessandro.quattrone@unitn.it