intervista di Paola Fusi ad Alberto Fornaser, amministratore delegato Robosense
Alberto Fornaser, 28 anni. Dopo un dottorato nell’area meccanica presso il Dipartimento di Ingegneria Industriale dell’Università di Trento, si è lanciato nell’esperienza della start up. Oggi è amministratore delegato di Robosense, start up dell’Ateneo avviata nel 2012 che offre soluzioni per l’ottimizzazione della logistica e dell’automazione industriale. Gli abbiamo rivolto alcune domande.
Ingegner Fornaser, Robosense è una start up che opera nel settore della robotica; che tipo di prodotti e servizi innovativi realizzate?
Robosense è nata con l’obiettivo di realizzare e commercializzare un sistema di identificazione pallet per veicoli automatici utilizzati nel settore della logistica automatica. Questo dispositivo, di nome SmartFinder,aumenta il grado di intelligenza artificiale a bordo veicolo, rendendo quindi possibile e vantaggiosa la destrutturazione degli impianti, abbattendone notevolmente i costi fissi ed aumentando la flessibilità della produzione, rendendola di fatto più snella. Il nostro business non è tuttavia limitato a questo, la competenza di Robosense verte sia sulla robotica che sulla realizzazione di prodotti innovativi nell’ambito di metrologia e controllo qualità. Molto spesso gli imprenditori vorrebbero realizzare qualcosa di nuovo o migliorare i propri impianti, ma non trovano riscontro nella tecnologia attualmente commercializzata. Robosense riesce qui a fare leva, discutendo con gli imprenditori e trasferendo conoscenze e competenze tecnologiche avanzate in prototipi e prodotti innovativi da poter integrare su
impianti esistenti. In questo modo sono nati gli ultimi due prodotti di Robosense: Morphos 3D, sistema ottico di scansione corporeo per l’ortopedia in grado di acquisire intere parti anatomiche con un singolo click, e RoboAIR, sistema di controllo di presenza oggetti per linee di controllo aereoportuali che aiuta i passeggeri a non smarrire i propri oggetti al momento del controllo bagagli.
Come si trasferiscono le conoscenze e le esperienze di ricerca del dottorato in una ditta che deve stare sul mercato?
La mia esperienza al dottorato all’Università di Trento è stata davvero unica. Mi ha permesso di conoscere, apprendere e comprendere aspetti teorici e tecnici davvero eccezionali. Conoscere il cosiddetto “stato dell’arte” è a mio avviso uno degli elementi di notevole forza nel bagaglio culturale di una persona (in primis) e anche di un professionista. L’esperienza del dottorato e della ricerca offrono inoltre elementi di formazione difficilmente accessibili in un ambiente lavorativo comune: ricercare la soluzione ad un problema. Nelle realtà industriali moderne purtroppo vi è raramente il tempo o le risorse per analizzare un problema in maniera organica e strutturale; solitamente si ricorre a soluzioni tecniche note o “off the shelf”, accontentandosi di ciò che si riesce ad ottenere ed adeguando le esigenze di produzione. Nell’ambito del dottorato conoscere significa vedere e prevedere aspetti del problema di non immediata percezione, cambiando approccio alla progettazione e utilizzando tecnologie innovative. Spesso, infatti, esistono soluzioni note allo stato dell’arte, ma ignote per molte realtà imprenditoriali. In questo spazio è possibile muoversi e fare impresa, fornendo prodotti non così tanto innovativi da risultare incompresi o inaffidabili, né troppo assodati da risultare in concorrenza con grandi produttori. Fra questi due estremi esistono molte opportunità; sta quindi alla creatività e competenza di ciascuno il riuscire a farsi spazio e costruire il proprio successo. Amministratore delegato a meno di trent’anni in Italia.
Il momento giusto per mettersi in gioco o un limite con cui fare i conti?
Entrambe le cose. Essere giovani nel mondo imprenditoriale è un limite e un pregio. Quando si gestisce e si lavora in un’azienda l’obiettivo è chiaramente quello di vendere; ciò non è tuttavia né immediato né facile se i potenziali clienti sono realtà industriali affermate. Varcare la soglia di certi stabilimenti richiede in alcuni
casi un notevole sforzo: essere giovani in questi casi non aiuta, perché manca l’esperienza e agli occhi di chi ascolta la prima impressione è quella di un ragazzo,
più che di un professionista. Sono queste le situazioni in cui un giovane deve dimostrare quanto vale: mostrarsi competente in ciò che presenta, saper affrontare il
proprio interlocutore con argomenti validi e interessanti dal punto di vista tecnico ed economico. Questo con l’obiettivo di farsi considerare come portatore di un qualcosa di nuovo: un giovane deve offrire qualcosa che non è possibile trovare facendo una telefonata al solito fornitore o consulente. Essere giovani significa però anche “avere tempo”. Rispetto ad una persona che è più in là con l’età un giovane può permettersi di sbagliare, ha anzi secondo me il “dovere” di sbagliare, provare a fare quello che
ritiene giusto, confrontarsi con una realtà, capire i propri errori e crescere.
Quali prospettive per Robosense in futuro?
Robosense è ancora una realtà giovane, solo in questo ultimo anno abbiamo fatto progressi enormi rispetto a quando siamo partiti. Il ringraziamento va per questo
all’Università di Trento e a coloro senza i quali Robosense non sarebbe potuta nascere: il professor Mariolino De Cecco e gli ingegneri Mattia Tavernini, Nicolò Biasi,
Luca Baglivo e Francesco Setti. Gli obiettivi del breve periodo sono di espandere la nostra rete di contatti e consolidare quelli acquisiti ad oggi. Inoltre per noi è prioritario arricchire il nostro portafoglio di prodotti, spingendo quelli attualmente a catalogo e sviluppandone di nuovi. Importante sarà la partecipazione a qualche salone dell’automazione, in modo da aumentare la nostra visibilità ed approcciare il mercato internazionale. Nel medio termine, se le condizioni lo permetteranno, vorremmo riuscire ad aumentare i membri del team.