QUAL È L’EFFETTO DELLE RETI NEL SUCCESSO DI UN’IMPRESA?

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La scienza delle reti, i nuovi strumenti di analisi e di business application in un’economia orientata ai servizi
Analizzare le connessioni di una rete come Facebook per estrarre informazioni e capire i meccanismi sociali. Un gruppo di ricercatori del Dipartimento di Sociologia e Ricerca sociale dell’ateneo studia la struttura della società attraverso i legami di rete.
di Stefano Benati

Se lavorate in un’azienda con molti dipendenti, sapete che cos’è un organigramma. Una complessa rete di rapporti gerarchici che distribuisce le competenze e stabilisce le procedure con cui assolvere i compiti necessari. Il responsabile marketing, ad esempio, sovrintende un gruppo di venditori suddivisi per area e a sua volta riferisce a un direttore generale. Gli individui sono nodi di una albero gerarchico (un particolare caso di rete) tra loro collegati da archi che formano le catene di comando. Se l’albero è progettato bene l’azienda dovrebbe funzionare. Ma tutti noi sappiamo che il luogo più importante di un’azienda è la sala della macchina distributrice di caffè dove, tra un pettegolezzo o una chiacchiera casuale, siamo messi al corrente delle fortune e degli intoppi dell’azienda nel suo complesso.

Se provassimo a tradurre su carta sia le semplici relazioni gerarchiche (chi comanda chi) sia i più elusivi rapporti confidenziali (chi racconta cosa a chi) avremmo una fotografia precisa della struttura dell’azienda. Nella rete delle relazioni umane, alcuni individui sono più centrali di altri, alcuni gruppi formano comunità diverse, altri sono importanti perché connettono circoli elusivi. Attraverso questi dettagli noi sappiamo se si tratta di un’azienda flessibile o rigida, se le buone innovazioni si propagano in fretta o meno, chi ha più potere e chi può essere ostile ad un cambiamento.

Con la capacità di calcolo delle attuali tecnologie possiamo analizzare questo e molti altri casi di interesse, fino a poter analizzare milioni di connessioni di una rete sociale (pensate a Facebook per esempio), per estrarre informazioni e capire i meccanismi sociali. Oggi sappiamo che la società attuale è composta da circoli tra loro fortemente connessi e caratterizzati dai cosiddetti legami forti: tutti si conoscono e si frequentano reciprocamente. Ma questi circoli non sono isolati, alcuni individui ne frequentano più di uno, formando inconsapevolmente ponti tra mondi diversi. Sono i cosiddetti legami deboli, più instabili, ma che determinano la possibilità dell’apprendimento, dell’imitazione e dell’innovazione. Negli anni ’70, il sociologo Mark Granovetter fu il primo ad accorgersi della forza di questi legami deboli (“the strength of weak ties”), osservando come gli individui riuscivano a trovare un lavoro. Non erano i conoscenti più stretti a fornire le indicazioni importanti, anzi. L’opportunità di lavoro era conosciuta grazie agli individui che fungevano da ponte tra circoli diversi, grazie appunto all’informazione che circola attraverso i legami deboli.

Immaginate questa analisi contestualizzata nel dibattito scientifico, in parte ideologico, dei nostri anni. Come conciliare il meccanismo dei legami deboli con una teoria del libero mercato del lavoro, dove quello che importa è il contributo marginale alla produttività? Oppure, come posso tenere sotto controllo la catena delle forniture per la produzione di un dato prodotto (“supply chain management”), misurandone la rischiosità o l’elasticità rispetto a ritardi imprevisti? La scienza delle reti è il nostro nuovo strumento di analisi, che permette un punto di vista complementare o alternativo alle teorie consolidate.

All’interno del Dipartimento di Sociologia e Ricerca sociale è attivo un gruppo di ricercatori che ha accolto come manifesto programmatico l’ipotesi che la struttura della società sia rivelabile attraverso i legami di rete. Al loro attivo ci sono articoli su riviste internazionali e attività convegnistiche che sono documentate nel sito dell’Ateneo.

Chiariamo una cosa: nessuno sa come fare i soldi attraverso le reti. O almeno, non nel modo tradizionale della specializzazione disciplinare. Nella produzione tayloristica, l’ingegnere industriale pianificava le fasi della produzione di un prodotto; il matematico finanziario consigliava - e consiglia - quali titoli azionari comprare. Ma in una economia orientata ai servizi, chi dovrebbe essere l’esperto delle reti? Dovrebbe essere un buon informatico, perché analizzare una rete con centinaia di migliaia di nodi pone dei problemi algoritmici non banali. Ma dovrebbe avere sensibilità sociologiche o psicologiche, capire a chi e perché dovrebbe piacere una certa offerta di marketing. E quale dovrebbe essere il suo compito? Quale miracolosa ricetta ci proporrà per fare esplodere i profitti?

Sorry, nessuna bacchetta magica. È troppo poco il tempo trascorso dalle prime pionieristiche e sistematiche esplorazioni dei primi anni ’90 per avere una prassi aziendale consolidata di casi di successo. Comunque non brancoliamo nel buio. Sulle riviste scientifiche degli ultimi anni sono riportate molte esperienze di business application, sono commentate e discusse, pronte per essere prese, lette e “copiate”!

E allora cosa dovrebbe fare un buon imprenditore per cavalcare l’onda? Facile: assumere un neo-laureato (un buon laureato con gli stipendi attuali costa relativamente poco) e farsi spiegare tutto di Facebook, di Twitter, del software libero, di calcoli semplici e complessi, fargli leggere e “copiare” quello che hanno già fatto oltreoceano. E, ovviamente, usare la fantasia.

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