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LA COLLABORAZIONE RESPONSABILE TRA UNIVERSITÀ E INDUSTRIA

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Conoscere le rispettive esigenze e definire soluzioni condivise per l’utilizzo e la valorizzazione dei risultati della ricerca
L’affermarsi di una cultura della proprietà industriale presso le più rilevanti realtà di ricerca pubblica del Paese come garanzia di crescita del sistema
di Roberto Tiezzi

Negli ultimi decenni, il tema del rapporto università-industria ha assunto un respiro sempre più strategico: si va dai programmi quadro dell’Unione europea alle politiche nazionali e regionali sui distretti industriali, agli interventi di sostegno ai processi innovativi delle imprese.

Per cogliere appieno le opportunità di collaborazione tra le due realtà si rende necessario sviluppare condizioni di contesto in grado di facilitare la relazione, anche attraverso la rimozione di ostacoli che possano minarne lo svolgimento.

Un elemento di particolare rilievo è rappresentato dalla proprietà industriale generata da o con l’apporto di personale universitario, elemento che genera problematiche di imputazione, gestione e sfruttamento dei risultati di ricerca.

La disciplina dei risultati della collaborazione è oggetto di specifica negoziazione tra le parti, ma la diversità di linguaggio, le asimmetrie informative e il disallineamento dei rispettivi obiettivi possono costituire motivi di attrito o rallentamento dei processi decisionali e operativi. Inoltre, una non corretta impostazione del rapporto può condurre a una sottovalutazione ovvero a una sopravvalutazione del contributo proveniente dalle parti, soprattutto se l’approccio alla materia avviene in carenza di policy, strutture e strumenti adeguati ad affrontare una casistica variegata.

Da un’attenta analisi delle motivazioni e degli obiettivi dei rispettivi modelli comportamentali emergono tuttavia molte più affinità che differenze, mentre la conoscenza delle rispettive esigenze diviene il passaggio fondamentale per definire soluzioni condivise.

A questo riguardo, l’assunzione da parte dell’università italiana della cosiddetta “terza missione”, volta alla valorizzazione dei risultati della ricerca scientifica, facilita la condivisione con l’industria di una prospettiva di sfruttamento in chiave applicativa della conoscenza generata. Al tempo stesso consente la partecipazione ai processi di valorizzazione da una posizione distinta e non concorrenziale con quella del partner industriale.

Applicare le conoscenze scientifiche per mettere a punto un processo industriale più efficiente o meno oneroso, ovvero per realizzare nuovi materiali competitivi, significa indicare un approccio originale che non necessariamente le imprese, soprattutto quelle di dimensioni medio-piccole caratterizzate da una debole funzione aziendale di ricerca, sono in grado di padroneggiare. In tal caso, accanto al trasferimento di un know-how o di una tecnologia qualificata, il ricercatore universitario può contribuire all’implementazione in scala industriale dell’innovazione trasferita.

Le variabili in campo nella relazione università-industria sono diverse: il settore industriale di riferimento (ad esempio ICT vs pharma), la tipologia di relazione (ad esempio partnership progettuale vs attività collaborativa), il contenuto della relazione (ad esempio ricerca innovativa vs attività analitica). Tuttavia, risulta evidente come la collaborazione non possa che essere letta in chiave finalistica in relazione ai risultati che essa persegue, dovendosi accantonare logiche puramente amministrativo-procedurali o di approvvigionamento di attività/risorse.

Sul fronte accademico, pur in presenza di un quadro normativo generale che non agevola il trasferimento tecnologico, l’affermarsi tramite Netval (il network di enti ed università impegnate nella valorizzazione della ricerca) di una cultura della proprietà industriale presso le più rilevanti realtà di ricerca pubblica del Paese rappresenta una garanzia di crescita del sistema e di utilizzo responsabile degli strumenti di gestione degli output della ricerca. Se, da un lato, la funzione di generazione
di nuova conoscenza valorizzabile conduce al riconoscimento, anche economico, del contributo fornito dal partner accademico, dall’altro, proprio l’esercizio responsabile di tale funzione stimola gli atenei a rafforzare le strutture deputate all’individuazione degli schemi contrattuali adatti alle differenti tipologie di relazione e soprattutto alla gestione dei follow-up delle relazioni nel tempo.

L’assegnazione al partner industriale, anche in regime di esclusiva, dei diritti di sfruttamento economico dei risultati e dei meccanismi di controllo decisionale delle procedure di tutela (ad esempio la brevettazione) della proprietà intellettuale generata è una delle richieste più ricorrenti del detentore della successiva fase di exploitation. Ebbene, tale richiesta è realmente incompatibile con una visione volta a superare il ruolo di un’università percepita come mera fornitrice di ricerca? Non è pur vero che lo stesso esercizio di valutazione dell’Agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario e della ricerca ANVUR (Valutazione della Qualità della Ricerca VQR 2004-2010) indirizza le università verso una gestione economica della funzione di trasferimento tecnologico, valutando la produttività brevettuale degli atenei anche nell’ambito della collaborazione con le imprese?

Una risposta a tali sollecitazioni, se da un lato esige una revisione delle strategie industriali di organizzazione dei processi innovativi, dall’altro richiede ancora un forte impegno delle università per il rafforzamento dei valori di efficacia ed efficienza dei processi gestionali e di credibilità verso il mondo esterno circa le capacità di accompagnamento delle fasi di valorizzazione dell’innovazione generata.